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Arturo Schwarz – La grande ricerca di Michal Rosenberger

  • lug 23 / 2013
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Arturo Schwarz – La grande ricerca di Michal Rosenberger

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La Grande Ricerca di Michal Rosenberger

Arturo Schwarz

di Arturo Schwarz

Nel testo luminoso, Etica e infinito (1982), Emmanuel Levinas scrive: “Il viso è esposto, minacciato, sembra che voglia invitarci ad un atto di violenza”, e questo grande umanista – pregno dei valori dell’ebraismo – aggiunge ancora: “Nel Viso dell’Altro c’è sempre la morte dell’Altro”. Queste parole mi riportano, irresistibilmente, ai visi dolenti dei misteriosi personaggi senza età di Michal Rosenberger.

Si veda, ad esempio, In – cubo (una terracotta patinata del 2008) dove il gioco di parole rimanda non solo ad un incubo immanente ma anche ad una doppia realtà: la prima di carattere fisico – i visi emergono dolorosamente da un cubo – la seconda di carattere esistenziale – il titolo allude ad un incubo elevato, in qualche modo, alla potenza cubica. Il tema è ripreso, lo stesso anno, con Ciottoli, opera composta da quattro piastrelle in terracotta dalle quali sorgono solo gli stessi visi dolenti. Nella letteratura – non solo esoterica – il viso sta per l’intera persona. È il riflesso della sacralità della vita, l’espressione – anche se parziale – dell’anima: quando si dice di qualcuno che “ha perso la faccia”, s’intende molto di più di quanto questa locuzione lasci intendere nel suo significato letterale.

Ne I Cori dell’anima (2004-2009) i visi dei 131 più 13 corpi mutilati – compaiono solo torsi senza braccia – sembrano intonare un lamento funebre o forse una preghiera. Un corpo mutilato rimanda allegoricamente al processo creativo – come evidenzia, tra gli altri, Erich Neumann, rilevando, “La mutilazione, tema ricorrente anche nell’alchimia, è la condizione di ogni creazione”2. Sulla scorta di queste parole potremmo presumere che il coro stia intonando la richiesta di un ritorno all’integrità originale, sia fisica sia psichica.

Cosa che, a sua volta, richiede il raggiungimento dell’integrazione armoniosa e dialettica del principio maschile (l’animus, per usare il termine junghiano) e di quello femminile (l’anima).

In altre parole, si può pensare che l’obiettivo di questi personaggi sia di attuare il processo d’individuazione3 (da individuus: indivisibile), diventare un Io – un essere completo. Esigenza vitale per un essere ridotto ad un tronco asessuato. In accordo con questa interpretazione Dicotomia (2009) evidenzia il carattere schizofrenico che noi tutti alberghiamo in una misura più o meno pronunciata. Nell’opera in questione il viso è spaccato longitudinalmente e con le due metà divaricate come a sottolineare il carattere duale della personalità. Non è certo un caso se il Doppio è uno dei temi più ricorrenti della letteratura mistica, mitologica e letteraria.

Dolenti, interroganti, attoniti – sono questi gli stati d’animo che caratterizzano i personaggi di questa scultrice che si propone di dare un’espressione tridimensionale alla pulsione cognitiva che, come quella amorosa, è al centro della vita dell’individuo pensante. L’importanza che il tema della consapevolezza assume per la Rosenberger è evidenziato dal fatto che vi dedica cinque opere. Cinque opere cariche di una commossa partecipazione.

La prima di esse, La ricerca (2007), è costituita da quattro infanti, ognuno alto 30-35 cm. Il primo, come fosse emarginato per via della sua inquietudine, è in piedi, isolato dagli altri tre, dando loro la schiena. Le sue braccia cadono lungo il corpo, il viso è rivolto al cielo in un muto interrogativo trascendente. Fra gli altri tre, quello di mezzo ha una preoccupazione più terrena: il braccio è alzato – parallelo al suolo – e l’indice punta in direzione di un luogo invisibile, che i suoi compagni guardano con stupore meravigliato. Ne La grande ricerca (2008) ritroviamo il primo bambino interrogante, questa volta da solo, è molto cresciuto: è alto ben 160 cm. L’espressione del suo viso, più complessa, accentua l’ansia di avere una risposta alla domanda non formulata del gruppo degli infanti.

Ne La ricerca – Natura (Contemplazione) (2009) lo stesso bambino è posto tra due alberi ma, in conformità con il contesto nel quale è collocato, rivolge la sua domanda – senza riceverne risposta – alla natura. Ovviamente: dell’albero di sinistra (nel linguaggio metaforico la sinistra sta per il passato) si vedono solo alcuni rami secchi, mentre quello di destra è mutilato e morto. L’albero – in quanto axis mundi collega la terra (elemento ctonio, femminile) al cielo (elemento uranico, maschile) – sta non solo per l’albero della saggezza dell’Eden, ma anche, e principalmente, per l’Androgino primordiale. In questa ottica si comprende perché i personaggi di Michal Rosenberger sono asessuati, e quindi androgini – condizione questa che implica il raggiungimento dell’aurea apprehensio.

Forse la Rosenberger allude al fatto che quest’epoca terribile in cui viviamo – dalla Shoah in poi, con tutti gli altri tentativi di genocidi che sono seguiti – è stata contrassegnata dalla morte dell’albero della saggezza che ci lascia disorientati a vivere in un presente privo di ogni prospettiva umanista – un presente che, come osservava Castoriadis, ha visto “la bancarotta fraudolenta del comunismo, ma anche la delusione crescente della gente di fronte all’evidente impotenza del liberalismo conservatore; la privatizzazione in una società sempre più burocratizzata e dominata dai supermercati e dai mass-media; la corruzione e/o la nullità dei politici di professione e, non ultima, la scomparsa di un orizzonte storico, sociale, collettivo, politico”4 .

Dall’infante che interroga la natura passiamo, a quello che interroga, anche questa volta in vano, la società. Ne La Ricerca – Città (Ma Dove Corrono) (2009). Il personaggio, da interrogante, diventa perplesso.

Si vedono, sfocati, in lontananza nell’angolo destro, alcuni uomini che camminano disordinatamente, l’uno dei quali in smoking – come per sottolineare il carattere fittizio della nostra società del consumo. Non saranno certo questi individui formali che potranno rispondere al quesito esistenziale dell’infante,

A conclusione di questa “grande ricerca”, quattro sculture suggeriscono a chi rivolgere il quesito e la via della rinascita. Nelle prime due, l’infante è un orante. Ne In Preghiera (2009) lo vediamo accovacciato, le mani aperte e tese verso un alberello d’ulivo. L’ulivo sta per la purificazione, la forza, la vittoria, la ricompensa, la pace e la fecondità. In Grecia come a Roma quest’albero era consacrato alle divinità della saggezza, rispettivamente Atena e Minerva. Nella tradizione ebraica è simbolo di pace: è un ramo d’ulivo che la colomba porta a Noé per annunciare la fine del diluvio. Nei libri del Levitico, dei Profeti e dei Re troviamo notizie dell’unzione regale, profetica e sacerdotale. Lo stesso termine ebraico che designa la consacrazione con l’olio è mashach, dal quale deriva la parola mashiach (messia), che significa “unto, consacrato”.

Con In Seconda Preghiera, dello stesso anno, questo simbolismo viene rafforzato: l’infante, braccia alzate verso il cielo, è nello stesso atteggiamento assunto dallo sciamano in trance quando esclama “sto toccando il cielo, sono immortale”. Infatti, in questa posizione lo sciamano è un axis mundi (vedi sopra) e, di conseguenza, s’identifica con l’Androgino primordiale onnisciente ed eterno, dato che assomma in sé il principio ctonio femminile e quello uranico maschile.

Nelle ultime due sculture di questo ciclo è indicata la Via: l’infante passa attraverso un regressus ad uterum. Nella prima, Bozzolo (2010), lo vediamo totalmente avvolto, non a caso, da una foglia. È la foglia che, grazie alla fotosintesi, permette alla pianta di vivere. Nella visione poetica della Rosenberger, la foglia svolge la stessa funzione della placenta nell’utero, che porta il sangue al feto. Nei miti come nella letteratura esoterica il regressus ad uterum sta per il ritorno simbolico al grembo materno e segna, sia la morte sia la rinascita dell’individuo.

A livello esoterico è il passaggio obbligato dell’adepto rigenerato nell’iniziato5. In Bozzoli, variante dello stesso anno e sullo stesso tema, l’artista affida la funzione della foglia a una coperta che avvolge l’infante, proteggendolo.

Per concludere vorrei precisare che, nell’elaborare queste sculture, Michal Rosenberger percorre – a livello dell’inconscio – le tappe della longissima via che dovrebbe portare l’Artista – così si autodefinivano i primi alchimisti – all’illuminazione, al livello, cioè, dove l’arte non è più utopia ma diventa auto-conoscenza. L’artista raggiunge allora lo stato di veggenza, secondo l’imperativo di Rimbaud. Consegue questo stato in quanto è ispirato, è preda, cioè, di una sollecitazione creativa di carattere transpersonale e transrazionale. Come insegna Platone, “nessuno che sia nel possesso della ragione raggiunge una divinazione ispirata e verace”6.

Allora è bene ricordare che Michal Rosenberger trae da “l’antro dei tesori dell’inconscio collettivo” (Jung), gli elementi delle sue opere. È quindi chiaro che ella ignora la valenza simbolica degli schemi e dei motivi iconografici adoperati. Questi motivi sono scelti in obbedienza a pulsioni inconsce anche se, in partenza, l’obiettivo è di esprimere il tema determinato dal titolo dell’opera. Ma, come in ogni opera d’arte autentica, ‘memoria conscia’ e ‘memoria inconscia’7 si danno la mano in quello che Duchamp ebbe a chiamare “un piccolo gioco fra ‘io’ e ‘me’”8.

La qualità evocativa del lavoro di Michal Rosenberger sta nel fatto che ella è guidata da forze che non conosce. Parlando del processo creativo, Duchamp dichiarò: “dobbiamo negare all’artista, sul piano estetico, lo stato di coscienza di quello che sta facendo o del perché lo sta facendo”9. Da parte sua, Jung riteneva che “si possono dipingere quadri [in questo caso, sculture] molto complicati senza avere la minima idea del loro significato reale”10. E Marie Bonaparte ribadiva: “Meno l’autore indovina i temi nascosti nella sua arte, più è probabile che siano veramente creativi”11. Selma Fraiberg, a sua volta, confermava: “Se, per esempio, Kafka avesse capito, nel corso del suo fantasticare, il significato più profondo del cavallo bianco, l’elaborazione di questa fantasia sarebbe stata inibita e si sarebbe perso l’aumento di piacere ottenuto grazie al mascheramento”12.

La poetica della Rosenberger vive delle stesse tensioni che emergono negli scritti di Duchamp, Freud, Jung e di quei tanti, tra questi Kafka, che hanno riconosciuto (e in alcuni casi vissuto) nell’arte anche uno strumento iniziatico.

Agosto 2010

1 La scelta di questo numero non è casuale: per René Alleau, autore de Le Symbolisme des nombres (Paris 1948), il 13 sta per il principio di attività, mentre per René Schwaller de Lubicz questo numero sta per la potenza generatrice – cattiva o buona che sia -, segnando anche l’evoluzione verso la morte (Esotérisme et Symbole, Editions La Colombe, Paris 1960). 
2 Erich Neuman, The Origins and History of Consciousness (1949), vol. I, Harper & Brothers, New York 1962, p. 121.
3 Jung ricorda: “Individuazione, diventare un io, non è soltanto un problema spirituale, è il problema di tutta la vita” (Psychology and Alchemy (1944), Harper & Row, New York 1953, pp. 118-19).
4 Cornelius Castoriadis, “Elogio della politica”, in Lettera Internazionale (Roma), IV° trimestre 2009, p. 2.
5 Si veda, in proposito, e tra tanti altri testi, il mio Introduzione all’alchimia indiana, Laterza, Roma 1984, pp. 24-32.
6 Timeo, xxxii: 72e
7 Cfr. a proposito di queste due categorie, il contributo di Eric R. Kandel, neuroscienziato e Premio Nobel per la biologia nel 2000.
8 “Marcel Duchamp”, intervista in The Artist’s Voice, a cura di Katharine Kuh, Harper & Row, New York 1962, p. 83.
9 “The Creative Act” in Art News (New York), lvi, n.4 (estate 1957) – (datato per sbaglio, estate 1956), p. 28
10 “A Study in the Process of Individuation (1950)” in The Archetypes and the Collective Unconscious, The Collected Works, ix:1, Routlege & Kegan Paul, London 1959
11 “Poe and the function of Literature” in Art and Psychoanalysis, a cura di William Phillips, The World Publishing Company, Cleveland and New York, p. 61
12 “Kafka and the Dream (1956) in Art and Pschoanalysis, cit. p. 41

 

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The Great Search of Michal Rosenberger

Arturo Schwarz

by Arturo Schwarz

In his bright text, Ethics and Infinity (1982), Emmanuel Levinas writes: “The face is exposed, menaced, seems willing to invite us to an act of violence,” and this great humanist – pregnant with the values of Judaism – adds: “In the Face of the Other is always the death of the Other.” These lines remind me irresistibly the mourners faces of the ageless mysterious characters of Michal Rosenberger.

See for example: In – cubo (a clay coated 2008) where the pun refers not only to an immanent nightmare but also to a double reality: the first physical – with the faces that emerge painfully from a cube – the second of existential character – with the title which alludes to an upper high cubed nightmare. The theme of these tragic faces is continued the same year with Pebbles, four terracotta tiles from which emerge only painful faces. We recall that in the literature – not only esoteric – the face means the whole person. It reflects the sanctity of life, the expression – even partial – of the soul. When you say to someone that he has “lost face”, means much more than its literal meaning.

In The Soul Choirs (2004-2009) the faces of 131 plus 13 mutilated bodies – we can only see the torsos without arms – seem to sing a dirge or perhaps a prayer. A mutilated body allegorically refers to the creative process – as evidenced by Erich Neumann, who notes: “The mutilation, recurring theme in alchemy, is the condition of all creation.”2 We assume that the choir is singing the request of a return to the original integrity-both physical and mental.
That, in turn, requires the achievement of integration and harmonious dialectic of masculine (animus, to use the Jungian term) and feminine (the soul).

In other words, one can think that the goal of these figures is to implement the process of individuation3 (from individuus: indivisible), becoming a Self – complete person, which is vital for a person reduced to an asexual trunk. In accordance to that interpretation, Dicho- tomy (2009) puts in evidence the schizophrenic character that we all in some measure posses. In this work the face is split longitudinally in two apart halves, as to mark our dual character. It is not a coincidence that the Double is one of the recurring themes of mystical and mythological literature.

Grieving, questioning, astonished – these are the moods that characterize the figures of this sculptress who takes it as a task of giving expression to the three-dimensional cognitive impulse which, as in love, determines the life of the thinking individual. The importance that our sculptress gives to the issue of awareness is evidenced by the fact that she dedicates to it five works. Five works loaded with extreme empathy.

The first of these, The Search (2007), is made of four infants, 30-35 cm tall. The first, as emarginated because of his restlessness, is standing, isolated from the other three, showing them his back. His arms fall along the body; the face is turned to the sky in a silent transcendent question. Among the other three, the one in the middle, more earthly concerned, has his arms raised – parallel to the ground – and forefinger pointing towards the ground, towards an invisible place, where his companions look with wonder and amaze- ment. In the Big Search (2008) we find the first infant questioner, this time alone and grown a lot: 160 cm tall, in his facial expression is heightened the anxiety to have an answer for the same question never asked.

The following The Search – Nature (Contemplation) (2009) where the infant, placed in-between two trees, makes his question to na- ture. There’s a tree on the left (and we know that in the metaphorical language the left is the past) on which you can see only a few dry branches, while on the right there is a mutilated and dead one. We recall that the tree – as axis mundi which connects the earth (chthonic element – female) the sky (the uranium elements – male) – is not only the tree of wisdom of Eden, but also and mainly the
‘Primordial Androgyne (not a coincidence that all the characters of Michal Rosenberger are asexual – androgynous) – the condition which brings to achieve the aurea apprehensio.

Perhaps the sculptress wanted to allude to the terrible Era in which we live. That from the Holocaust, through other tempted geno- cides, was marked by the death of the Tree of Wisdom, leaving us all confused to live in a present lacking any humanist perspective. As Castoriadis pointed out: “the fraudulent bankruptcy of communism, but also the growing disillusionment of the people because of the obvious inability of conservative liberalism, the increasing and bureaucratic privatization dominated by supermarkets and mass- media, the corruption and / or revocation of professional politicians and not least, the disappearance of an historical, social, collective, political horizon.”4

From the infant that interrogates the passive nature, we pass, to the infant that vainly again, questions the society in: Search – City (Where do they all run to) (2009). Here the character of the questioner, becomes even stunned, and rightly so: you can see, blurred in the distance in the right corner, some men who walk disorderly, one of them in ceremonial dress – as if to emphasize the artificial character of our consumer society. Quite sure, not these formal individuals may respond to the existential question of the infant.

At the conclusion of this “great search”, four sculptures aim to suggest the moral of the story. In the first two, the infant is a prayerful. In: Prayer (2009) we see him squatting, hands open and outstretched towards the olive tree. We know that the olive tree is rich in symbols: purification, strength, victory, the reward, peace and fruitfulness. In Greece as in Rome this tree was sacred to the goddess of wisdom, Athena and Minerva respectively. In the Jewish tradition is a symbol of peace: It is an olive branch that the dove brings Noah to announce the end of the flood. Moreover, in the books of Leviticus, the Prophets and Kings we find its use in anointing sacerdotal servers, prophets and kings. The same Hebrew word that means the consecration with oil is mashach, by which the word Mashiach (Messiah) means, “anointed, consecrated.”

In: Second Prayer, the same year, this symbolism is strengthened: we see the infant with his arms raised toward the sky – the same stance taken by the shaman in trance who says: “I’m touching the sky, I am immortal.” Indeed, in this position, the shaman is axis mundi (see above) and, therefore, identified with the primordial Androgyne omniscient and eternal, because sums up in himself the chthonic principle – female and the uranic one – male.

In the last two sculptures of this cycle the infant passes through a regressus to uterum. In the first: Cocoon (2010), we can see him completely covered, not surprisingly, by a leaf. It is the leaf, which, through photosynthesis allows the plant to live.
According to the poetic point of view of Michal Rosenberger, the leaf has the same function of the placenta in the uterus, which carries blood to the fetus. We recall that the regressus uterum, the symbolic return to the womb, means in myth, as also in esoteric literature, both death and rebirth of the individual.
On an esoteric level it is the necessary path of the aspirant reclaimed in the initiative5. In: Cocoons, a variant on this theme and of the same year, the artist relies on a blanket instead of the leaf to wrap the infant, protecting him.

Finally let me say that, in developing these sculptures, Michal Rosenberg runs – at the unconscious – the stages which should lead the artist – so called themselves the first alchemists – to the via longissima the lighting, the level, in which art is not only utopia but becomes self-aware. The artist then reaches a state of clairvoyance, according to the imperative of Rimbaud, a state of inspiration and solicita- tion of transpersonal and transrational creative nature. As Plato taught, “no one who is in possession of reason reaches a divinely and inspired truth.”6

Therefore we remember that Michal Rosenberger draws from “the cave of the unconscious collective treasures” (Jung), the elements of her works. It is thus clear that she ignores the symbolic and iconographic schemes used. These are chosen in obedience to unconscious impulses, even though at the start, the aim is to express, consciously, a theme determined by the title. But like in any true, authentic art work, ‘conscious memory and ‘unconscious memory’7 join hands in what Duchamp had to call “a little game between ‘I’ and ‘me’.” 8

The intense evocative quality of Michal Rosenberger’ s work is due to the fact that she is driven by forces she does not know. Still, talking about the creative process Duchamp declared: “We have to deny the artist, from the aesthetic point of view, the consciousness of what he is doing or why he is doing.”9.Jung confirmed “you can paint very complicated drawings [in this case, sculptures] without having any idea of their real meaning.”10 Marie Bonaparte adds: “Less the author guesses the hidden themes in his art, the more likely they are truly creative”11 and Selma Fraiberg confirms:”If, for example, Kafka had understood, during his dream, the deeper meaning of the white horse, the development of this fantasy would be inhibited and would have missed the increase of pleasure obtained through masking.”12

The poetics of Michal Rosenberger lives of those tensions that emerge in the writings of Duchamp, Freud, Jung and many others, among them Kafka, who recognized (and in some cases lived) in art an instrument of initiation.

August 2010

1 The choice of this number is not accidental: For René Alleau , author of Le Symbolisme des nombres (Paris 1948), 13 is the activity principal. For René
 Schwaller de Lubicz this number has a generative power - good or evil - marking also the evolution towards death (Esotérisme et Symbole , Editions la Colombe
 - Paris 1960).
2 Erich Neuman, The Origins and History of consciousness (1949), I° book, Harper&Brothers, New York 1962, p. 121.
3 Jung mentions: "Identification, becoming a self, is not just a spiritual problem but is the problem of life" (Psychology and Alchemy (1944), Harper & Row, New York 1953, pp. 118-19).
4 Cornelius Castoriadis, "In Praise of politics," in International Letter, (Rome), fourth quarter 2009, p. 2.
6 Timeo, xxxii: 72nd
7 See in regard to these two categories, the contribution of Eric R. Kandel, a neuroscientist and Nobel Prize in biology in 2000.
8 "Marcel Duchamp ', interview in The Artist's Voice, by Katharine Kuh, Harper & Row, New York 1962, p. 83.
9 "The Creative Act" in Art News (New York), LVI, No. 4 (Summer 1957) - (dated in error, summer 1956), p. 28
10 "A Study in the Process of Individuation (1950)" in The Archetypes and the Collective Unconscious, The Collected Works, ix: 1, Routlege & Kegan Paul, London 1959
11 "and Poe's The Function of Literature" in Art and Psychoanalysis, edited by William Phillips, The World Publishing Company, Cleveland and New York, p. 61
12 "Kafka and the Dream (1956) in Art and Psychoanalysis cited. p. 41

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